Si è svolto nello scorso mese di giugno in Slovenia un referendum popolare – che ha visto la vittoria del si – su un possibile Accordo di arbitrato internazionale per tentare di porre fine al contenzioso marittimo fra Croazia e Slovenia. Quest’ultima, con i suoi solo 47 Km di costa e un solo centro portuale rilevante (Capodistria o Koper in sloveno), rivendica una nuova delimitazione della piccola Baia di Pirano, aprendo così la strada ad un corridoio che colleghi le proprie acque territoriali alle acque internazionali del nord Adriatico.
Connessa, ma in secondo piano, è una disputa che riguarda alcuni punti del confine terrestre: già nel 1991, al momento della dichiarazione d’indipendenza dall’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, alcuni confini amministrativi sulla sponda sinistra del fiume Dragogna, che sfocia nella valle di Pirano, non coincidevano con quelli catastali (i villaggi di Mulini, Scodellini, Busini e Scrili).
Natura e cause della controversia
In effetti, al momento della dissoluzione dello Stato federale di Tito, i due Paesi dichiararono di non avere contenziosi marittimi. Eppure, nel 1993 il Governo di Lubiana pubblicò un “Memorandum on the Bay of Piran of 7 april 1993”, in cui, invocando sia il principio dell’uti possidetis [1], sia alcune circostanze speciali ex articolo 12 della I Convenzione di Ginevra sul Diritto del Mare (1958), nonché il “diritto naturale” agli interessi di comunicazione e di pesca, rivendicava dalla Croazia l’intera Baia di Pirano con il conseguente accesso alle acque internazionali.
La Croazia ribadì che la linea mediana, ex articolo 15 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS, 1982), è l’unico principio applicabile per la definizione del confine in questione.
Un tentativo di accordo nel 2001, che consentiva alla Slovenia un accesso al mare alto dell’Adriatico nel punto d’incontro tra le acque territoriali croate e quelle italiane – come stabilito negli Accordi di Osimo (1975) – mediante un corridoio passante per le acque internazionali croate, fallì a causa della mancata ratifica dello stesso da parte di Zagabria e per la successiva decisione unilaterale da parte di Lubiana di creare nel 2005, dopo il suo ingresso nell’Unione Europea, delle zone di protezione ecologica e di pesca in acque internazionali adiacenti alla frontiera stabilita da Osimo e in tutta la Baia di Pirano, aree, quindi, di competenza non slovena.
Le motivazioni che hanno spinto i due Paesi a mantenere le proprie posizioni per quasi un ventennio vanno ricercate, più che nelle rivalità ereditate dalla Repubblica jugoslava – nel forte senso di identità nazionale e della memoria storica, nella presunta superiorità e capacità economica della Slovenia in ragione della maggiore autonomia che aveva all’interno della SRFJ –, semmai nella loro prospettiva politica, economica e strategica all’interno della regione adriatica e balcanica, anche, e soprattutto, alla luce del loro ingresso nell’Unione Europea.
Entrambi, infatti, nell’ottica della membership all’interno dell’UE, ambiscono ad ottenere un duplice arricchimento: uno economico e uno strategico, in un raggio geografico che comprende il nord Adriatico e i Balcani occidentali, fino ad estendersi, in prospettiva, al Mar Nero.
La prospettiva slovena
L’accesso alle acque internazionali e la possibilità dello sfruttamento di nuove risorse marine costituirebbe, infatti, una preziosa risorsa economica per la Slovenia: aumentare il raggio di estensione marino significa aumentare il traffico marittimo di merci e persone verso il Mediterraneo, ingrandire la flotta e i pescherecci, ampliare le risorse ittiche, potenziare il porto di Capodistria e creare le premesse per la costruzione di nuove aree portuali. In secondo luogo, Lubiana ha interesse ad inserirsi nei traffici dell’alto Adriatico a causa della presenza, in corrispondenza del Golfo di Venezia, di rilevanti giacimenti di metano, il cui sfruttamento è stato impedito nel 1999 dal Governo italiano per i rischi di “subsidenza” (cedimento del terreno a venir meno del gas), ma a cui, invece, la Croazia può attingere, a causa della mancanza di un’analoga legge nazionale in materia di valutazione dell’impatto ambientale. Infine, non si può non considerare che il rafforzamento economico dell’intera Baia di Pirano costituirebbe un elemento importante per consolidare i rapporti economici e la politica di cooperazione transfrontaliera con l’Austria, la quale vede proprio nell’insenatura slovena la prima via di accesso al mare.
Finché il Governo di Butor Pahor non vedrà quindi riconosciuto il suo interesse, continuerà ad osteggiare l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea.
D’altra parte, però, è anche vero che Lubiana ha principalmente due ragioni per porre il veto all’adesione di Zagabria: da un lato, bloccando, appunto, l’apertura del capitolo di adesione relativo ad ambiente e pesca, intende rafforzare il piano di cooperazione transfrontaliera con l’Italia (Programma IPA-Adriatico, in cui sono coinvolti tutti i Paesi che affacciano sull’Adriatico, anche se con alcune significative differenze), ponendosi come unico interlocutore con Italia e UE nei Balcani Occidentali e come beneficiario dei Fondi Europei di Sviluppo Regionale in maniera speciale; dall’altro, data la non ancora effettiva collaborazione della Croazia con il Tribunale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia e la mancanza di certezza nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, la Slovenia pretende una garanzia sulla sicurezza dei propri confini e del proprio spazio aereo nell’area della Dragogna, continuando così a bloccare l’apertura di altri due capitoli: politica estera, di sicurezza e difesa; giustizia e diritti fondamentali.
La prospettiva croata
La Croazia, dal canto suo, non è stata finora disponibile a cedere alle richieste dei vicini in ragione della minor concorrenza economica nelle acque dell’Adriatico, specialmente con riferimento alle rotte commerciali verso il Golfo di Trieste e all’accesso alle riserve di metano.
Tuttavia, in qualità di membro UE, rientrerebbe nel Programma IPA rivestendo un maggior peso e ottenendo notevoli agevolazioni finanziarie nell’ambito della dotazione del FESR. Dal punto di vista strategico, infine, la Croazia aspira a diventare il partner principale dell’Unione Europea sia per il coordinamento del Programma di Stabilizzazione e Associazione (SAP) degli altri Paesi balcanici, sia per la gestione dei rapporti con Serbia e Bosnia-Erzegovina, i quali nel dicembre scorso hanno presentato domanda di adesione all’UE. Quest’ulteriore allargamento, inoltre, permetterebbe a Zagabria di porsi come il corridoio privilegiato per il reperimento delle risorse naturali dell’ex Jugoslavia (principalmente carbone, rame, gas e petrolio) e per il transito delle risorse energetiche provenienti dall’area caspica e caucasica. La speranza per il presidente croato Ivo Josipovic è che, nonostante siano stati chiusi 17 capitoli di adeguamento all’aquis commmunautaire su 35, l’obiettivo UE possa essere raggiunto entro la fine del 2011.
La prospettiva dell’Unione Europea
Per diversi anni l’Unione Europea ha provato a negoziare l’accordo tra i due Stati: in particolare, durante gli anni della Commissione Barroso I (2004-2009), il Commissario per l’Allargamento Olli Rehn ha presentato in più occasioni un progetto di arbitrato internazionale, che le due parti hanno successivamente rifiutato. Di fronte all’ostruzionismo dei Paesi, tuttavia, sia le Presidenze del Consiglio dell’UE tenute prima dalla Svezia (luglio-dicembre 2009) e poi dalla Spagna (gennaio-giugno 2010), si sono disinteressate della polemica, dichiarando che si tratta di una questione bilaterale che non richiede mediazione da parte di Bruxelles. Anzi, sia Stoccolma che Madrid, in ragione dei propri interessi personali, sono sembrate concentrarsi di più sull’ingresso nell’UE dell’Islanda e sull’attuale crisi economica, piuttosto che sviluppare la politica di allargamento verso Est.
Eppure, l’Unione Europea, risolte le pendenze della Croazia nei confronti del Tribunale dell’Aja, ha tutto l’interesse perché il contenzioso venga risolto e perché Zagabria entri nello spazio comunitario. Le immediate ragioni sono, evidentemente, l’arricchimento proveniente dalle risorse croate (innanzitutto il turismo), il rilancio e il successo della Strategia di Lisbona, il rafforzamento della cooperazione internazionale e transfrontaliera con i Paesi già membri, il consolidamento della politica di coesione e vicinato nell’area balcanica.
Tuttavia, avere la Croazia come Paese membro, implica vantaggi molto più significativi: in primo luogo, la presenza croata nell’UE spingerebbe gli altri Paesi balcanici ad accelerare il processo di stabilizzazione e adeguamento ai vincoli comunitari, portando nuovi mezzi nell’economia europea. In secondo luogo, l’aumento della mobilità e del volume delle merci commerciabili, permetterebbe un veloce completamento dei corridoi di trasporto paneuropei che coinvolgono la penisola balcanica (corridoio V, VIII e X). Ancora, la ricchezza mineraria e la grande produzione di energia idroelettrica della Croazia costituirebbero un’ulteriore fonte di approvvigionamento energetico, oltre a quella proveniente dai Paesi dell’area caspica.
Proprio questo progressivo avvicinamento all’area del Mar Nero e del Caspio, colmando il vuoto geografico dell’UE nei Balcani occidentali, risponde a due esigenze: assicurare la sicurezza energetica e quella militare. L’inesorabile allargamento al sud-est avvicina l’Europa, infatti, alle frontiere mediorientali; ed, essendo la Croazia uno Stato membro della NATO dal 2009, si rafforzerebbero le azioni in materia di sicurezza e difesa, di controllo dei flussi migratori e di lotta alle reti criminali e terroristiche.
Ciò che si evince da questo quadro complesso e articolato è che la soluzione ad una semplice disputa territoriale apparentemente marginale rispetto alle questioni europee, può trasformarsi in un importante punto di approdo e di partenza per successive politiche e azioni comunitarie che riguardano un bacino territoriale che va ben al di là della semplice regione adriatica e che coinvolge assetti e strategie economiche e militari del corridoio est-ovest.
Mentre l’arbitrato internazionale opererà affinché vi sia un’interpretazione condivisa del diritto internazionale sulla questione della Baia di Pirano, potrebbe spettare al Belgio, neo-insediato alla presidenza dell’UE, sciogliere i nodi circa le procedure e le modalità di allargamento nei Balcani, circa le priorità, gli obiettivi, le strategie.
[1] Secondo tale principio, viene riconosciuta la sovranità su un determinato territorio quando questa, in presenza di certe situazioni, è stata già acquisita. Tale criterio, già originario del diritto romano e acquisito dal diritto internazionale moderno, ha avuto applicazione in diverse occasioni fra XIX e XX secolo (Prussia, Sudamerica, Africa).
* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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